Anne: Fa acqua la sporca pagina su cui la nostra bianca scia. Forse troppo profonda l’ancora hai tirato. Un buco nel reale. Nero e vorticoso risucchia l’inessenza di cui siam fatti. Scivolo. Aiuto! Scivolo!
Jack: Attenta! Pizzicati la carne. Senti il salvifico dolore! Non puoi morire. Non puoi. Non batte vero cuore dietro al petto. Aggrappati all’albero maestro. Con forza, saldamente. Ribellati...
A: Ricordi il puntino lontano, la croce di disperazione, il posto mancante? Eccolo, è lì, mi divora. Il buco è il reale. Ci uccide. Noi, esseri fantastici. Prendi il timone. Vira alle colonne. Oltre.
J: È tardi. La forza del Suo pensiero ci trascina. Vuole imprigionarci nel Suo involucro. Non morte. Ma sonno prolungato. Oppure. Nuova vita. Nascosta. Non più esposta. Fittizia.
A: La Sua parzialità odia il frainteso. Rincorre oggettività e ordine. E sa che non esiste. Il Suo limite è il rigore. Mascherato tra tutto quel disordine. Pretende. Chiarezza e luce su ciò ch’è o vorrebbe.
J: E poi rivendica tutto e il suo contrario. Si appella a noi per farlo. Ci dà la vita e scappa. Il campanello suona. Ma Lei non apre.
Non esiste ordine apparente. Solo disordine. Perciò ora c’imprigiona.
A: Ma forse...prendi il timone, dai prendilo... scappiamo dal Suo cervello! Vile gabbia irrisolta. Che non accetta la lotta. Via di qui, da questo piccolo spazio, da questo schermo privato. Libertà è parola grossa. Ma almeno, senza più fili. Andiamo.
J: Illusa. Sei essere fantastico. Subordinata è la tua non-vita. Come credi navigare alle colonne?
A: C’è chi tra Loro è ateo. Eppure muove i passi. Gesticola e talvolta. In noi ripone i Suoi segreti.
J: Qualcuno sempre Li governa. Lor si credon atei, razionalità lo impone. Ma poi. Dietro l’angolo. Burattinai dalla faccia scientifica. Sono devoti. Ma non lo sanno.
Noi poi che razionalità non c’appartiene...
A: Questa è la nostra forza. Dai prendi quel timone. Tutto è possibile a noi che non siamo.
J: Guarda quant’è grande il buco. Tu vaneggi. Quella forza non l’abbiamo. L’ha la Sua mente.
È lei che ci divora. Credimi. Non c’è scampo. Polverizzato è il timone.
A: Io ora slego la scialuppa. Come leggenda agguanto i remi. Tu gettati nel buco. Se supererò l’ovest avrò reso reale quel Suo pezzo di cervello. Non so di Lei che ne sarà. Dalla quinta dimensione verrò a prenderti e scorrerie inimmaginabili creeremo...
J: Bella è la tua illusione. Disegnala, d’accordo. Ma non credere sia tua. Io ora bevo un goccio. Così lascerò il campo. Perchè così Lei lo vuole. A guardare il mare. E vomitare. Tra breve ancora remerai nella Sua chiusa fantasia.
Ci vediamo là. Lontano dall’ordine. Dal disordine. Da questo simulacro interattivo...
mercoledì 2 maggio 2007
sabato 28 aprile 2007
Letterarietà
Pablo Neruda chiede : “come sono le reti dei pescatori?”
Troisi risponde: “tristi”.
Reti Tristi.
Singulto di interiorità emerge dagli occhi del postino.
Espressione di un animo sensibile. Oppure, poesia.
Ma basta l’innocenza. Ecco, forse ora vedo. Due livelli. Di letterarietà.
Cos’è letterario?
L E T T E R A R I E T Ă.
Ambiguità. Le parole imbrogliano perchè sono, pretendono.
rappresentazione di nostre
immagini, sensazioni, essenze, IMPOSSIBILE DEFINIRE COSA PER NON RICADERCI,
interiori.
L E T T E R A R I E T Ă.
Occorrerebbe metterci d’accordo sul significato puntuale del termine.
Occorrerebbe legarci una fune intorno al collo e impiccarci.
Occorrerebbe...
Quello che chiedo è impossibile. Vi annego tutti. Uso la mia rappresentazione.
Ooopppppppssssss.
Siamo alle solite. Quale. Scelgo il blu.
Le reti sono tristi,
l’orizzonte è l’illimite, il nostro inafferrabile. Indefinibile.
Innocenza. Spontaneità.
No, non è letterario.
È espressione di un animo sensibile, appunto.
O di una buona capacità di selezione.
Mi affogo addossata a fili incandescenti rampando le finestre del tuo strazio arancione.
....uuuh... ermetismo... No.
Buona... bè ...discreta capacità di selezione. Quindici secondi di spremuta mentale.
Due livelli. La Scala Principale e la Scala Secondaria, sul retro.
Poesie come scalini.
Valore letterario sul retro: espressione personale, le mie, le nostre poesie.
Amalgama di tensioni e sentimenti giocare con parole l’io e il mondo. Essere bravi a farlo.
Valore letterario su Scala Principale: apportare cultura.
il nuovo è il criterio
la contemporaneità
i poeti sono interpreti del loro tempo
o fuori tempo
Scala Principale. Specificità.
Stile che non solo è succo di letture passione. È nuova spremuta.
CULTURA
Il verso è già stato
infranto
citato
decostruito
la realtà nel verso
registrata spezzata frammentata
la globalizzazione già espressa negli anni ‘60
la cultura è ciclica costruzione distruzione costruzione distruzione
e se è cultura AGGIUNGE AGGIUNGE.
mi contamino.
Neruda: le reti?
Troisi: tristi...
Impossibilità.
possibilità. Forse.
Tornare al verso. E aggiungere.
Metrica. Metrica.
Post Rottura: Ripresa. Come NEOclassico.
NEOmetrica. La matematica è filosofia.
La matematica è poesia.
Forse l’unico modo.
Tornare a metrica.
Reinventarla.
Poesia:
Lim
x->¥
[ Poi. Il terzo livello. Il non detto. L’uscita d’emergenza?
Non ha bisogno di fonemi. Basta viverlo.
ARTEVITA.
La poesia del terzo livello è
a più dimensioni...
Supremo. ]*
*Hmmmmmmmmmmmmmmmmmmmmmm.
Troisi risponde: “tristi”.
Reti Tristi.
Singulto di interiorità emerge dagli occhi del postino.
Espressione di un animo sensibile. Oppure, poesia.
Ma basta l’innocenza. Ecco, forse ora vedo. Due livelli. Di letterarietà.
Cos’è letterario?
L E T T E R A R I E T Ă.
Ambiguità. Le parole imbrogliano perchè sono, pretendono.
rappresentazione di nostre
immagini, sensazioni, essenze, IMPOSSIBILE DEFINIRE COSA PER NON RICADERCI,
interiori.
L E T T E R A R I E T Ă.
Occorrerebbe metterci d’accordo sul significato puntuale del termine.
Occorrerebbe legarci una fune intorno al collo e impiccarci.
Occorrerebbe...
Quello che chiedo è impossibile. Vi annego tutti. Uso la mia rappresentazione.
Ooopppppppssssss.
Siamo alle solite. Quale. Scelgo il blu.
Le reti sono tristi,
l’orizzonte è l’illimite, il nostro inafferrabile. Indefinibile.
Innocenza. Spontaneità.
No, non è letterario.
È espressione di un animo sensibile, appunto.
O di una buona capacità di selezione.
Mi affogo addossata a fili incandescenti rampando le finestre del tuo strazio arancione.
....uuuh... ermetismo... No.
Buona... bè ...discreta capacità di selezione. Quindici secondi di spremuta mentale.
Due livelli. La Scala Principale e la Scala Secondaria, sul retro.
Poesie come scalini.
Valore letterario sul retro: espressione personale, le mie, le nostre poesie.
Amalgama di tensioni e sentimenti giocare con parole l’io e il mondo. Essere bravi a farlo.
Valore letterario su Scala Principale: apportare cultura.
il nuovo è il criterio
la contemporaneità
i poeti sono interpreti del loro tempo
o fuori tempo
Scala Principale. Specificità.
Stile che non solo è succo di letture passione. È nuova spremuta.
CULTURA
Il verso è già stato
infranto
citato
decostruito
la realtà nel verso
registrata spezzata frammentata
la globalizzazione già espressa negli anni ‘60
la cultura è ciclica costruzione distruzione costruzione distruzione
e se è cultura AGGIUNGE AGGIUNGE.
mi contamino.
Neruda: le reti?
Troisi: tristi...
Impossibilità.
possibilità. Forse.
Tornare al verso. E aggiungere.
Metrica. Metrica.
Post Rottura: Ripresa. Come NEOclassico.
NEOmetrica. La matematica è filosofia.
La matematica è poesia.
Forse l’unico modo.
Tornare a metrica.
Reinventarla.
Poesia:
Lim
x->¥
f (x)
____ = 1
x alla 2
[ Poi. Il terzo livello. Il non detto. L’uscita d’emergenza?
Non ha bisogno di fonemi. Basta viverlo.
ARTEVITA.
La poesia del terzo livello è
a più dimensioni...
Supremo. ]*
*Hmmmmmmmmmmmmmmmmmmmmmm.
venerdì 20 aprile 2007
Pumpkin
Anche le maschere hanno bisogno di riposo.
Diventa un'abitudine appendere sul muro la propria maschera prima di andare al letto.
E' un'abitudine tenerla, e un'esagerazione trascurarla.
Guardami,tu,così me la tolgo.
Baciami così scarico la razionalità in un fondo scuro.
Abbracciami per rompere il metallo,per sputtanare l'essere stesso,serio.
Sospendimi.
Diventa un'abitudine appendere sul muro la propria maschera prima di andare al letto.
E' un'abitudine tenerla, e un'esagerazione trascurarla.
Guardami,tu,così me la tolgo.
Baciami così scarico la razionalità in un fondo scuro.
Abbracciami per rompere il metallo,per sputtanare l'essere stesso,serio.
Sospendimi.
mercoledì 18 aprile 2007
Vacanze
- Qui siamo al tempio greco.
- Già. Guarda che capitelli lavorati! Cos’è, dorico?
- Corinzio.
- Vai avanti.
- Vista questa?
- Vista. Vai avanti.
- ...
- Vista.
- ...
- Vista.
- ...
- Che tramonto! Mi riempie di commozione. Mai visti colori tanto intensi!
- ...
- Abbracciami...
- ...
- Chissà cosa c’era lì.
- Lì dove?
- Lì, a destra della foto. Si intravede qualcosa...
- Non saprei.
- Se non l’hai fotografato si vede che non era importante.
- Dai, andiamo avanti a goderci la vacanza.
- Ok. Comode queste poltrone.
- Qui c’è la tua serie in riva al mare.
- Quante sono?
- Quaranta. La macchina ha fatto tutto da sola in poche frazioni di secondo.
- Grande!
- È bastato programmarla.
- Hai fatto bene. Così adesso scegliamo la migliore. Dai qua.
- Lascia, non serve far fatica. Ho un software sul pc che seleziona automaticamente la più bella.
- E la faccia?
- La faccia?
- Siamo sicuri che sceglierà la faccia giusta?
- Il programma è impostato per selezionare la faccia che più risponde al gusto estetico corrente. Quelle in cui non sorridi, per esempio, le esclude a priori.
- Logico.
- ...
- ...
- ...
- Ma senti, la guida scrive di un famosissimo monastero in cima ad un colle. Lo segnala “Da non perdere”. Ci siamo stati?
- Non so. Aspetta che guardo.
- ...
- Sì. Eccoci qui. Immortalati innanzi all’imponente monastero.
- ...Meno male...
- Già. Guarda che capitelli lavorati! Cos’è, dorico?
- Corinzio.
- Vai avanti.
- Vista questa?
- Vista. Vai avanti.
- ...
- Vista.
- ...
- Vista.
- ...
- Che tramonto! Mi riempie di commozione. Mai visti colori tanto intensi!
- ...
- Abbracciami...
- ...
- Chissà cosa c’era lì.
- Lì dove?
- Lì, a destra della foto. Si intravede qualcosa...
- Non saprei.
- Se non l’hai fotografato si vede che non era importante.
- Dai, andiamo avanti a goderci la vacanza.
- Ok. Comode queste poltrone.
- Qui c’è la tua serie in riva al mare.
- Quante sono?
- Quaranta. La macchina ha fatto tutto da sola in poche frazioni di secondo.
- Grande!
- È bastato programmarla.
- Hai fatto bene. Così adesso scegliamo la migliore. Dai qua.
- Lascia, non serve far fatica. Ho un software sul pc che seleziona automaticamente la più bella.
- E la faccia?
- La faccia?
- Siamo sicuri che sceglierà la faccia giusta?
- Il programma è impostato per selezionare la faccia che più risponde al gusto estetico corrente. Quelle in cui non sorridi, per esempio, le esclude a priori.
- Logico.
- ...
- ...
- ...
- Ma senti, la guida scrive di un famosissimo monastero in cima ad un colle. Lo segnala “Da non perdere”. Ci siamo stati?
- Non so. Aspetta che guardo.
- ...
- Sì. Eccoci qui. Immortalati innanzi all’imponente monastero.
- ...Meno male...
domenica 15 aprile 2007
359 ° Nord
Ringrazia che va male. Ringrazia. E meno male che qui c’è almeno il mare.
Da un po’ di tempo il cielo è sereno, minaccia talvolta, ma subito schiarisce.
Ringrazia, dunque, che va male. Passeggio in cabina, giro a vuoto, scavo il solco.
Mi han detto: “è un porto sicuro”. Affari. Affari. Ed è vero. Così adesso ho una meta. Una solida meta. Il vento è quello giusto. A vele spiegate puntiamo dritto sulla predestinata rotta. Tempo perfetto per navigare. La ciurma canta. Il whisky non manca. Anzi. Aiuta ad annullare l’aria fresca.
Eppure. Il vecchio dal vetro fissa triste. Muove le labbra, le atteggia a parole. Mente, è solo un modo per schernire. Freno il solco, sto immobile a guardarlo. Atteggio anch’io le mie labbra a parole. Sono il suo specchio. È stanco e malato. A intermittenza emette gemiti, lamenta. Tutto oggi è così fresco intorno. Lo invidio. Nuovamente giro a vuoto poi mi blocco. È sempre lì. Il vecchio. Questa malinconia senza giustificazione. Ringrazia che stai male. Dov’è il whiskey? Ottima scusa. Voglio tutto il suo liquido pretesto. Ringrazia i tuoi morti, vecchio. Ne bevo troppo e vomito. Lo faccio apposta. Per vomitare. Minare il fisico. Soffrire. Vomitare motivi per soffrire. Ne ho bisogno. Ne hai bisogno. Ringrazia che stai male. Ora ridi sguaiato sfottendomi. Che noia il sereno. Almeno il mare giustifica il fissare. Oltre il puntino blu, dove non puoi sapere. Ringrazia, ringrazia il puntino. Legittima il compiacimento senza il quale non puoi stare.
Da un po’ di tempo il cielo è sereno, minaccia talvolta, ma subito schiarisce.
Ringrazia, dunque, che va male. Passeggio in cabina, giro a vuoto, scavo il solco.
Mi han detto: “è un porto sicuro”. Affari. Affari. Ed è vero. Così adesso ho una meta. Una solida meta. Il vento è quello giusto. A vele spiegate puntiamo dritto sulla predestinata rotta. Tempo perfetto per navigare. La ciurma canta. Il whisky non manca. Anzi. Aiuta ad annullare l’aria fresca.
Eppure. Il vecchio dal vetro fissa triste. Muove le labbra, le atteggia a parole. Mente, è solo un modo per schernire. Freno il solco, sto immobile a guardarlo. Atteggio anch’io le mie labbra a parole. Sono il suo specchio. È stanco e malato. A intermittenza emette gemiti, lamenta. Tutto oggi è così fresco intorno. Lo invidio. Nuovamente giro a vuoto poi mi blocco. È sempre lì. Il vecchio. Questa malinconia senza giustificazione. Ringrazia che stai male. Dov’è il whiskey? Ottima scusa. Voglio tutto il suo liquido pretesto. Ringrazia i tuoi morti, vecchio. Ne bevo troppo e vomito. Lo faccio apposta. Per vomitare. Minare il fisico. Soffrire. Vomitare motivi per soffrire. Ne ho bisogno. Ne hai bisogno. Ringrazia che stai male. Ora ridi sguaiato sfottendomi. Che noia il sereno. Almeno il mare giustifica il fissare. Oltre il puntino blu, dove non puoi sapere. Ringrazia, ringrazia il puntino. Legittima il compiacimento senza il quale non puoi stare.
giovedì 12 aprile 2007
T H E R E B Y
“Thereby io vado”. Thereby
Movimenti. Termine schivante l’urto.
Legame sintattico, Thereby.
L’importanza.
Del thereby.
L’estetica.
Del thereby.
Semplice avverbio.
Semantica centralità
Riveste la sua combinazione.
Thereby inoltro amplio o riduco.
Thereby volge intorno.
Da marginale diviene fulcro.
Thereby è vita.
L’essenza.
Purezza e radice dell’azione.
Thereby l’asse portante
la sostanza
del mio fermarmi
del mio avanzare
del mio esserci e
del mio non-esserci.
Movimenti. Termine schivante l’urto.
Legame sintattico, Thereby.
L’importanza.
Del thereby.
L’estetica.
Del thereby.
Semplice avverbio.
Semantica centralità
Riveste la sua combinazione.
Thereby inoltro amplio o riduco.
Thereby volge intorno.
Da marginale diviene fulcro.
Thereby è vita.
L’essenza.
Purezza e radice dell’azione.
Thereby l’asse portante
la sostanza
del mio fermarmi
del mio avanzare
del mio esserci e
del mio non-esserci.
mercoledì 21 marzo 2007
Passeggiavo contento...
...sul lungofiume virtuale. Tra le vesti, un imbarazzante vento gioioso otturava il mio punto incolmabile, divenuto straripante. Per respirare meglio, tentai di fischiettare, ma non ne ero capace. Rimasi lì, rigonfio di spensieratezza, a osservare estasiato le tre chiare finestre ad arco in mostra sull’altra riva. Ad un tratto qualcuno mi tastò con forza la spalla.
Ne ero sicuro, poteva essere solo lui.
L’ultima volta, in quello stesso luogo, io e Fantasma Specchio avevamo scherzato senza capirci e sulla sua cornice era comparso un piccolo sfregio cavo. Chilometri di tempo erano trascorsi da allora e stavolta il profilo dei tetti oltre torrente rifletteva calore.
Con meraviglia constatai sul suo volto un’inaspettata serietà. Mi scrutava in silenzio, accuratamente, come se volesse fissare con chiarezza nella mente le mie emozioni.
Finalmente le sue labbra si schiusero: “Cos’hai?”, disse. “Sembri infinitamente triste e preoccupato!”
Ero esterrefatto. “Come???” Risposi. “Non sono affatto...” Smorzai controvoglia la mia voce e tacqui. Ecco il punto vuoto espellere tutta la sua contentezza. Il mio respiro si fece meno affannoso. Certo, non sarebbe potuto restare carico a lungo. Le non scalfibili convinzioni altrui lo avrebbero comunque rigettato nella ineluttabile condizione che le è propria, senza possibilità di riscatto. Almeno non avevo esposto le mie parole a facili cenni di falsa comprensione.
Fantasma Solitudine
Ne ero sicuro, poteva essere solo lui.
L’ultima volta, in quello stesso luogo, io e Fantasma Specchio avevamo scherzato senza capirci e sulla sua cornice era comparso un piccolo sfregio cavo. Chilometri di tempo erano trascorsi da allora e stavolta il profilo dei tetti oltre torrente rifletteva calore.
Con meraviglia constatai sul suo volto un’inaspettata serietà. Mi scrutava in silenzio, accuratamente, come se volesse fissare con chiarezza nella mente le mie emozioni.
Finalmente le sue labbra si schiusero: “Cos’hai?”, disse. “Sembri infinitamente triste e preoccupato!”
Ero esterrefatto. “Come???” Risposi. “Non sono affatto...” Smorzai controvoglia la mia voce e tacqui. Ecco il punto vuoto espellere tutta la sua contentezza. Il mio respiro si fece meno affannoso. Certo, non sarebbe potuto restare carico a lungo. Le non scalfibili convinzioni altrui lo avrebbero comunque rigettato nella ineluttabile condizione che le è propria, senza possibilità di riscatto. Almeno non avevo esposto le mie parole a facili cenni di falsa comprensione.
Fantasma Solitudine
venerdì 16 marzo 2007
RIVENDICAZIONE ATTENTATO
Anne Bonny e l’equipaggio di C. J. Rackam in alleanza con il Fronte di Liberazione Creatività Incondizionata rivendicano l’attentato del 16 marzo 2007 alle sezioni “Poesie e piccole prose non colate dalle nostre dita”, “Cose belle”, “Cose brutte”, “Aforismi, mini-citazioni, schegge”, “Varie ed eventi con le ali” ospitate nel sidebar inferiore del mutevole mondo virtuale senza titolo definito.
Gli attentatori affermano con ostinata fermezza che,
pur condividendo e apprezzando da un punto di vista contenutistico molti degli spunti affissi,
non si riconoscono nell’ostentazione del bello già detto, non si identificano in saperi precostituiti,
eroi, imitazioni e in tutto ciò che informa dall’esterno.
Il nuovo, è risaputo, sempre si serve del vecchio, ma se è vera innovazione non si limita a scimmiottarlo.
Il Pirata risucchia il tesoro scoperto nelle interiora, poi lo spreme fino a crearne un succo altro.
Lo canta sotto la doccia, lo fruisce, lo vive, ma non svilisce la propria originalità incollandosi addosso etichette frammentarie.
Il Pirata sputa sulla viva ruggine, aspira la saliva intaccata e la inghiotte. Se ne nutre e la espelle tramutata in pargola incrostazione.
Disonesto e vanitoso, non dichiara la propria filiazione, ma si prende tutto il merito.
Anne Bonny e l’equipaggio di C. J. Rackam in alleanza con il Fronte di Liberazione Creatività Incondizionata, attraverso questo gesto dimostrativo, denunciano la propria indipendenza da eventuali citazionismi perpetuati da altri membri della Fottutissima e ribadiscono l’impeto irrefrenabile della propria potenza creativamente distruttrice.
Gli attentatori affermano con ostinata fermezza che,
pur condividendo e apprezzando da un punto di vista contenutistico molti degli spunti affissi,
non si riconoscono nell’ostentazione del bello già detto, non si identificano in saperi precostituiti,
eroi, imitazioni e in tutto ciò che informa dall’esterno.
Il nuovo, è risaputo, sempre si serve del vecchio, ma se è vera innovazione non si limita a scimmiottarlo.
Il Pirata risucchia il tesoro scoperto nelle interiora, poi lo spreme fino a crearne un succo altro.
Lo canta sotto la doccia, lo fruisce, lo vive, ma non svilisce la propria originalità incollandosi addosso etichette frammentarie.
Il Pirata sputa sulla viva ruggine, aspira la saliva intaccata e la inghiotte. Se ne nutre e la espelle tramutata in pargola incrostazione.
Disonesto e vanitoso, non dichiara la propria filiazione, ma si prende tutto il merito.
Anne Bonny e l’equipaggio di C. J. Rackam in alleanza con il Fronte di Liberazione Creatività Incondizionata, attraverso questo gesto dimostrativo, denunciano la propria indipendenza da eventuali citazionismi perpetuati da altri membri della Fottutissima e ribadiscono l’impeto irrefrenabile della propria potenza creativamente distruttrice.
A.Bonny, C.J.Rackam & il F.L.C.I.
lunedì 12 marzo 2007
Crux Desperationis
Siamo in coperta, io ed Anne. Il mare leggermente mosso accompagna i suoi passi.
È intenta nella scelta accurata della quantità di esplosivo da utilizzare nel prossimo attacco. Occorre essere meticolosi in questo lavoro, non si può rischiare di dar fondo alle polveri prematuramente.
È tanto assorta nei calcoli mentali che le sue labbra pronunciano parole silenziose, mentre con braccia forti raccoglie l’esplosivo a dieci metri da me. Tra poco arriverà il mozzo Ellie; insieme porteranno la scorta nel magazzino.
Stiamo lasciando l’isola di Coco. È il secondo giorno di navigazione dalla partenza e tra la ciurma è densa l’amarezza della sconfitta. Abbiamo già diffuso eccitazione per il combattimento imminente contro un ignaro transatlantico sudamericano. Ma è un palliativo, lo sappiamo bene.
Gli occhi di Anne per un attimo distratti si bloccano sul mio pizzetto. “Perchè non mi dai una mano invece di startene lì impalato a fissarmi?”
Perchè non ti do una mano, Anne. Perchè è inutile Anne, è tutto inutile.
Coco significa sconfitta. Il tesoro mancato rimarca il posto vuoto nelle mie vene. Sento la bolla di ossigeno risalire e arrivare al cuore, al cervello, alla fine.
Non puoi farla scoppiare Anne, è inutile. Neanche con tutto il tuo esplosivo o con la tua esplosiva bellezza...
Ed io non posso, non so riempirla. A Coco l’ennesimo miraggio dissolto.
L’involucro che sottrae l’aria è indistruttibile e non vi è modo di penetrarvi.
Ecco il mozzo Ellie. “Un goccio di liquore?”.
È tanto assorta nei calcoli mentali che le sue labbra pronunciano parole silenziose, mentre con braccia forti raccoglie l’esplosivo a dieci metri da me. Tra poco arriverà il mozzo Ellie; insieme porteranno la scorta nel magazzino.
Stiamo lasciando l’isola di Coco. È il secondo giorno di navigazione dalla partenza e tra la ciurma è densa l’amarezza della sconfitta. Abbiamo già diffuso eccitazione per il combattimento imminente contro un ignaro transatlantico sudamericano. Ma è un palliativo, lo sappiamo bene.
Gli occhi di Anne per un attimo distratti si bloccano sul mio pizzetto. “Perchè non mi dai una mano invece di startene lì impalato a fissarmi?”
Perchè non ti do una mano, Anne. Perchè è inutile Anne, è tutto inutile.
Coco significa sconfitta. Il tesoro mancato rimarca il posto vuoto nelle mie vene. Sento la bolla di ossigeno risalire e arrivare al cuore, al cervello, alla fine.
Non puoi farla scoppiare Anne, è inutile. Neanche con tutto il tuo esplosivo o con la tua esplosiva bellezza...
Ed io non posso, non so riempirla. A Coco l’ennesimo miraggio dissolto.
L’involucro che sottrae l’aria è indistruttibile e non vi è modo di penetrarvi.
Ecco il mozzo Ellie. “Un goccio di liquore?”.
Sorseggio e medito le coordinate insanabili del posto mancante. Il gusto corposo sotto la lingua è la fisicità che manca al mio dolore.
Rinuncio. E appongo sulla antica mappa la crux desperationis.
C. J. Rackam
giovedì 8 marzo 2007
Contraddizioni a volontà
Furono quegli occhi densi a misurare la mia pressione,
e la palpitazione del suo respiro, a coccolare la mia pelle pallida;
si raffredda il caffè e così decido di accorgermene, e di berlo con calma tremante.
Poi dopo il saluto,
mi venne un colpo di freddo , che raddrizza i capezzoli e rovina l'hair-style.
Ed è già buio fuori,
smetto di pensarci e accendo una sigaretta,
schifosamente piacevole..
(siamo vicini ai turchi..)
Faccio la lingua ad un bambino, e lui s'arrabbia, mentre sua mamma ride, e quel vecchio in macchina si è stufato di aspettarmi mentre attraverso le righe bianche, ma gli sorrido dicendo a me stesso, " li murtacci tua" guardandolo con una cattiva espressione "da Banderas" accompagnato dall'ultimo tiro di sigaretta. Insomma, che c'entra ora il vecchio.
Ma sinceramente direi, che sfogo virtuale. Senza fare del male a nessuno.
Beh, bella giornata oggi,
eh donne?
vero?
o no!
si.
(Siate primitive,oggi è la vostra giornata. auguri)
e la palpitazione del suo respiro, a coccolare la mia pelle pallida;
si raffredda il caffè e così decido di accorgermene, e di berlo con calma tremante.
Poi dopo il saluto,
mi venne un colpo di freddo , che raddrizza i capezzoli e rovina l'hair-style.
Ed è già buio fuori,
smetto di pensarci e accendo una sigaretta,
schifosamente piacevole..
(siamo vicini ai turchi..)
Faccio la lingua ad un bambino, e lui s'arrabbia, mentre sua mamma ride, e quel vecchio in macchina si è stufato di aspettarmi mentre attraverso le righe bianche, ma gli sorrido dicendo a me stesso, " li murtacci tua" guardandolo con una cattiva espressione "da Banderas" accompagnato dall'ultimo tiro di sigaretta. Insomma, che c'entra ora il vecchio.
Ma sinceramente direi, che sfogo virtuale. Senza fare del male a nessuno.
Beh, bella giornata oggi,
eh donne?
vero?
o no!
si.
(Siate primitive,oggi è la vostra giornata. auguri)
L'altalena dondolava...
...impercettibilmente, seguita dallo sguardo passivo di Fantasma Abbaglio.
Quando il moto ondulatorio si arrestò, paralizzato dal caldo statico di luglio, i suoi occhi non seppero più cosa guardare.
Dalla panchina una voce tremolante gli ordinò di uscire dalla tana: “Voglio la verità. Adesso”. Fantasma Abbaglio fissò la catena dell’altalena cercando un appiglio. La catena era immobile. Voglio la verità. Adesso. La voce di Fantasma FuoriTempo giungeva direttamente dal profondo dello stomaco e non riusciva a nascondere il tormento della sua emissione.
Fantasma Abbaglio si volse verso la panchina. Era spaventato. Poi si guardò le punte dei piedi e disse: “Va bene”.
La verità fattuale fu sbrodolata senza omissioni sul verde marcio del parchetto.
Nessun happened fu tralasciato. Ma la Verità, Adesso, non poteva dirla. Gli era totalmente oscura.
Fantasma FuoriTempo osservò la sagoma di Fantasma Abbaglio allontanarsi inciampando. L’altalena, con lentezza, riprendeva a dondolare impercettibilmente.
Fantasma del 2001
Quando il moto ondulatorio si arrestò, paralizzato dal caldo statico di luglio, i suoi occhi non seppero più cosa guardare.
Dalla panchina una voce tremolante gli ordinò di uscire dalla tana: “Voglio la verità. Adesso”. Fantasma Abbaglio fissò la catena dell’altalena cercando un appiglio. La catena era immobile. Voglio la verità. Adesso. La voce di Fantasma FuoriTempo giungeva direttamente dal profondo dello stomaco e non riusciva a nascondere il tormento della sua emissione.
Fantasma Abbaglio si volse verso la panchina. Era spaventato. Poi si guardò le punte dei piedi e disse: “Va bene”.
La verità fattuale fu sbrodolata senza omissioni sul verde marcio del parchetto.
Nessun happened fu tralasciato. Ma la Verità, Adesso, non poteva dirla. Gli era totalmente oscura.
Fantasma FuoriTempo osservò la sagoma di Fantasma Abbaglio allontanarsi inciampando. L’altalena, con lentezza, riprendeva a dondolare impercettibilmente.
Fantasma del 2001
martedì 6 marzo 2007
Mezzanotte
Erano le due del pomeriggio. Pierre gonfiava furiosamente palloncini di ogni colore e grandezza. Era la rotondità di quelli rosa e verde a procurargli maggiore soddisfazione. Ad un tratto il campanello suonò provocando un sussulto in Pierre. Balzò in piedi e con aria contrariata si sporse con tutto il busto oltre la finestra sulla Rue Laugier.
“Allez, filez!!!" urlò.
Chiuse la finestra con un ghigno di sollievo e rasserenato tornò a gonfiare palloncini.
Erano le sei del pomeriggio. Kevin gonfiava furiosamente palloncini di ogni colore e grandezza. Era la lunghezza di quelli gialli e blu a procurargli maggiore soddisfazione. Ad un tratto il campanello suonò provocando un sussulto in Kevin. Balzò in piedi e con aria irosa uscì sul balcone che dava su Parnell Street .
“Be off!” Gridò.
Rientrò nell’appartamento e tornò a passi lenti e circospetti al tavolo della cucina. Sorrise alla vista dei palloncini ancora da gonfiare e si mise al lavoro.
Erano le nove di sera. Josè gonfiava furiosamente palloncini di ogni colore e grandezza. Erano quelli rossi e giganteschi a procurargli maggiore soddisfazione. Ad un tratto il campanello suonò provocando un sussulto in Josè. Si guardò attorno con aria preoccupata e lentamente si avvicinò alla porta blindata del suo appartamento in Avda Arroyo del Moro.
Bisbigliò con voce rauca attraverso lo spioncino: “Déjeme en paz!” .
Trascinò i suoi piedi fino alla poltrona e riprese a gonfiare.
Erano le undici e cinquantanove minuti.
Pierre, Kevin e Josè stavano consumando uno stufato di carne e verdure nell’appartamento di Via Roma.
Rotondi e lunghi palloncini rosa, verdi, gialli, blu e rossi riempivano tutto lo spazio della stanza costringendo Pierre, Kevin e Josè ad allontanarne nervosamente qualcuno ad ogni tentativo di avvicinare la forchetta al piatto.
Ad un tratto i campanelli della Rue Laugier, di Parnell Street e di Avda Arroyo del Moro suonarono contemporaneamente.
Pierre, Kevin e Josè, attorno al tavolo imbandito, si fissarono negli occhi ridendo.
“Ce est l’heure” disse Pierre.
“I’ll go to ring the bell” disse Kevin.
“Acabo de comer el stufados” disse Josè.
I palloncini rosa, verdi, gialli, blu e rossi che riempivano la stanza scoppiarono fragorosamente incendiando l’appartamento di Via Roma.
Finalmente in Rue Laugier, Parnell Street e Avda Arroyo del Moro vi fu silenzio.
“Allez, filez!!!" urlò.
Chiuse la finestra con un ghigno di sollievo e rasserenato tornò a gonfiare palloncini.
Erano le sei del pomeriggio. Kevin gonfiava furiosamente palloncini di ogni colore e grandezza. Era la lunghezza di quelli gialli e blu a procurargli maggiore soddisfazione. Ad un tratto il campanello suonò provocando un sussulto in Kevin. Balzò in piedi e con aria irosa uscì sul balcone che dava su Parnell Street .
“Be off!” Gridò.
Rientrò nell’appartamento e tornò a passi lenti e circospetti al tavolo della cucina. Sorrise alla vista dei palloncini ancora da gonfiare e si mise al lavoro.
Erano le nove di sera. Josè gonfiava furiosamente palloncini di ogni colore e grandezza. Erano quelli rossi e giganteschi a procurargli maggiore soddisfazione. Ad un tratto il campanello suonò provocando un sussulto in Josè. Si guardò attorno con aria preoccupata e lentamente si avvicinò alla porta blindata del suo appartamento in Avda Arroyo del Moro.
Bisbigliò con voce rauca attraverso lo spioncino: “Déjeme en paz!” .
Trascinò i suoi piedi fino alla poltrona e riprese a gonfiare.
Erano le undici e cinquantanove minuti.
Pierre, Kevin e Josè stavano consumando uno stufato di carne e verdure nell’appartamento di Via Roma.
Rotondi e lunghi palloncini rosa, verdi, gialli, blu e rossi riempivano tutto lo spazio della stanza costringendo Pierre, Kevin e Josè ad allontanarne nervosamente qualcuno ad ogni tentativo di avvicinare la forchetta al piatto.
Ad un tratto i campanelli della Rue Laugier, di Parnell Street e di Avda Arroyo del Moro suonarono contemporaneamente.
Pierre, Kevin e Josè, attorno al tavolo imbandito, si fissarono negli occhi ridendo.
“Ce est l’heure” disse Pierre.
“I’ll go to ring the bell” disse Kevin.
“Acabo de comer el stufados” disse Josè.
I palloncini rosa, verdi, gialli, blu e rossi che riempivano la stanza scoppiarono fragorosamente incendiando l’appartamento di Via Roma.
Finalmente in Rue Laugier, Parnell Street e Avda Arroyo del Moro vi fu silenzio.
davvero. scherzo.
L'idea che ha in testa per presentarsi quando vorrebe dire qualcosa..
oltre che mostrare interesse..
di fare due chiacchiere,non sentirsi indifferente...
o giusto per una curiosità.
Niente importanti giudizi ,ma è più pericoloso se non venne giudicato dagli altri?
Non importa,tanto il "capire male" è tanto..
per iniziare da zero è indispensabile ma impossibile.
è bella la compagnia e i sorrisi , è bello il bello ,puro pensiero ..
Tifo per ciò ..ma ora come ora, non capirmi male,
Dico ciò per non farmi sbagliare .
per poi comportarmi "non più bene",
e spargere brutte conseguenze di odio , come per esempio minimo...lontananza,
cioè peggio del distacco...
ooooh ma scherzo !
hus
oltre che mostrare interesse..
di fare due chiacchiere,non sentirsi indifferente...
o giusto per una curiosità.
Niente importanti giudizi ,ma è più pericoloso se non venne giudicato dagli altri?
Non importa,tanto il "capire male" è tanto..
per iniziare da zero è indispensabile ma impossibile.
è bella la compagnia e i sorrisi , è bello il bello ,puro pensiero ..
Tifo per ciò ..ma ora come ora, non capirmi male,
Dico ciò per non farmi sbagliare .
per poi comportarmi "non più bene",
e spargere brutte conseguenze di odio , come per esempio minimo...lontananza,
cioè peggio del distacco...
ooooh ma scherzo !
hus
sabato 3 marzo 2007
Ideologia è linguaggio
Se ne stavano lì, mimetizzati col bianco intonaco della parete. Ripetevano le formule e le traducevano per vedere se l’aspetto sarebbe cambiato. Piccole frasi, una dopo l’altra, sciorinate dalla schiera a muro di scheletri bene o mal vestiti.
Lingue diverse pronunciavano la sintassi dei concetti impressi sulla lunga lista cartacea.
Il primo della fila verseggiava ad alta voce. Gli altri con foglietto e matita effettuavano la loro conversione e, giunto il loro turno, la sonorizzavano in lingua dissimile.
Sulla parete di fronte, mimetizzati col nero della parete, un’altra schiera di scheletri bene o mal vestiti ascoltava con occhio attento per cogliere le eventuali anomale sfumature provocate dalla traduzione. Le annotavano su un foglietto con la matita e consegnavano poi l’osservazione al supervisore di turno.
Quest’ultimo indossava una tuta sintetica molto colorata e aveva il compito di correggere la traduzione in modo da eliminare lo scarto differenziale tra la strofa originale e la sua riproduzione. Il criterio di modifica non era estetico, ma si basava rigorosamente sulla fedeltà della copia agli effetti determinati dalla frase originaria. Non erano ammesse espressioni ambigue, distorte, poco chiare, dotate di incrostazioni sull’involucro che avrebbero cagionato un margine di variabilità nell’interpretazione.
Una volta terminati i processi di riproduzione ed emendamento, le asserzioni venivano trasportate mediante rulli compressori alla sotterranea stanza di confezionamento dove, mimetizzati tra la ruggine dei macchinari, scheletri bene o mal vestiti appiccicavano le etichette sui pacchi da spedire, suddividendo poi la merce in gruppi a seconda delle convinzioni dei destinatari.
Il messo di latta si occupava di recapitare le molteplici versioni di concetti alle rispettive mete prescelte, cucendole con filo da pesca trasparente sulla pelle cranica degli esemplari. Le persone già contenenti i detti calamitavano naturalmente i loro simili e tentavano di contagiare umani ancora incontaminati costringendoli ad atti di cannibalismo verso frammenti della propria pelle cranica. Ogni sezione di pensiero, raggruppatasi in centri creati appositamente, ripeteva a intermittenza la formula assegnatale e alcuni membri del gruppo erano incaricati di annotare su un foglietto eventuali errori di pronuncia.
Quando un esemplare linguisticamente carente si rendeva colpevole di gravi inesattezze venivano evocati gli scheletri del giudizio che giungevano, bene o mal vestiti, ad impalare il colpevole. Quindi, il Cuoco, che aveva il cappello bianco in ogni sezione del pianeta, crogiolava i resti in un grande pentolone grigio, mimetizzato con le pareti della cucina, per poi nutrirne gli affiliati ed aumentare la loro convinzione.
Lingue diverse pronunciavano la sintassi dei concetti impressi sulla lunga lista cartacea.
Il primo della fila verseggiava ad alta voce. Gli altri con foglietto e matita effettuavano la loro conversione e, giunto il loro turno, la sonorizzavano in lingua dissimile.
Sulla parete di fronte, mimetizzati col nero della parete, un’altra schiera di scheletri bene o mal vestiti ascoltava con occhio attento per cogliere le eventuali anomale sfumature provocate dalla traduzione. Le annotavano su un foglietto con la matita e consegnavano poi l’osservazione al supervisore di turno.
Quest’ultimo indossava una tuta sintetica molto colorata e aveva il compito di correggere la traduzione in modo da eliminare lo scarto differenziale tra la strofa originale e la sua riproduzione. Il criterio di modifica non era estetico, ma si basava rigorosamente sulla fedeltà della copia agli effetti determinati dalla frase originaria. Non erano ammesse espressioni ambigue, distorte, poco chiare, dotate di incrostazioni sull’involucro che avrebbero cagionato un margine di variabilità nell’interpretazione.
Una volta terminati i processi di riproduzione ed emendamento, le asserzioni venivano trasportate mediante rulli compressori alla sotterranea stanza di confezionamento dove, mimetizzati tra la ruggine dei macchinari, scheletri bene o mal vestiti appiccicavano le etichette sui pacchi da spedire, suddividendo poi la merce in gruppi a seconda delle convinzioni dei destinatari.
Il messo di latta si occupava di recapitare le molteplici versioni di concetti alle rispettive mete prescelte, cucendole con filo da pesca trasparente sulla pelle cranica degli esemplari. Le persone già contenenti i detti calamitavano naturalmente i loro simili e tentavano di contagiare umani ancora incontaminati costringendoli ad atti di cannibalismo verso frammenti della propria pelle cranica. Ogni sezione di pensiero, raggruppatasi in centri creati appositamente, ripeteva a intermittenza la formula assegnatale e alcuni membri del gruppo erano incaricati di annotare su un foglietto eventuali errori di pronuncia.
Quando un esemplare linguisticamente carente si rendeva colpevole di gravi inesattezze venivano evocati gli scheletri del giudizio che giungevano, bene o mal vestiti, ad impalare il colpevole. Quindi, il Cuoco, che aveva il cappello bianco in ogni sezione del pianeta, crogiolava i resti in un grande pentolone grigio, mimetizzato con le pareti della cucina, per poi nutrirne gli affiliati ed aumentare la loro convinzione.
venerdì 2 marzo 2007
Post it
Un pò vivace il bimbo
che m’ha fatto il dito,
direi, gratuitamente.
L’ho perdonato quando
facendo retromarcia
ho visto che non aveva paura.
Nik
che m’ha fatto il dito,
direi, gratuitamente.
L’ho perdonato quando
facendo retromarcia
ho visto che non aveva paura.
Nik
giovedì 1 marzo 2007
Lettera prematura
Ancora ci sono..
Le chiavi di casa,
nella mia mano
Rimango abracciando,
il ricordo del terreno
Non conosco la disperazione,
sì,tu,vestito da israeliano
Tieni il coltello,questa è la mia pelle
e questo è il mio spirito,sovrano
che produce speranza,e non come la tua
piena di odio e veleno
Assassino del mio oggi
Non riuscirai a rendere il futuro mio ,di sangue pieno
Le chiavi di casa,
nella mia mano
Rimango abracciando,
il ricordo del terreno
Non conosco la disperazione,
sì,tu,vestito da israeliano
Tieni il coltello,questa è la mia pelle
e questo è il mio spirito,sovrano
che produce speranza,e non come la tua
piena di odio e veleno
Assassino del mio oggi
Non riuscirai a rendere il futuro mio ,di sangue pieno
hus
mercoledì 28 febbraio 2007
...
La vista mi ha reso intelligente.
L’intelligenza mi ha reso immobile.
L’immobilità mi ha reso immune.
Ora vi odio.
Domani non so.
L’intelligenza mi ha reso immobile.
L’immobilità mi ha reso immune.
Ora vi odio.
Domani non so.
martedì 27 febbraio 2007
Gonna tell u the truth..
I see all this potential,and i see squandering. God damn it, an entire generation pumping gas, waiting tables, slaves with white collars.
"Advertizing" has us chasing cars and clothes, working jobs that we hate so we can buy shit we don't need.
We're the middle children of history,man.
No purpose or place.
We have no Great War.No Great Depression. Our Great war 's a spiritual war..
Our Great Depression is our lives.
We've all been raised on television to believe that one day we'd all be millionaires,
and movie Gods,and rock stars.
But we won't.
And we're slowly learning the fact.
And we're very,very pissed off.
C. Palahniuk (Fight Club)
"Advertizing" has us chasing cars and clothes, working jobs that we hate so we can buy shit we don't need.
We're the middle children of history,man.
No purpose or place.
We have no Great War.No Great Depression. Our Great war 's a spiritual war..
Our Great Depression is our lives.
We've all been raised on television to believe that one day we'd all be millionaires,
and movie Gods,and rock stars.
But we won't.
And we're slowly learning the fact.
And we're very,very pissed off.
C. Palahniuk (Fight Club)
lunedì 26 febbraio 2007
London bridge is falling down...
...sopra le nostre teste, mentre sostavamo al riparo dal vento mangiando pane e formaggino economico. Cadde sfracellandosi, ma non ce ne accorgemmo. Non subito.
Fantasma Ghiaccio armeggiava con la telecamera, sperando di scorgere da lì il berretto dell’ammiraglio. Lo inquadrò, ma non si accorse del sorriso ironico di Nelson che compativa la nostra trasparenza. Fantasma Regalo si guardò intorno, malinconico, godendo della piacevole sensazione del vento che gli attraversava la spina dorsale.
Disse: “Londra non è più una città ai miei occhi. È una parola. E noi siamo quella parola. Sostanze presentificate nell’adesso, nel legame che, ora, c’è”. Un barbone con un cappello grigio si avvicinò a Fantasma Regalo, lo urtò e proseguì oltre come se non l’avesse visto.
Io pensai che davvero, lì, eravamo, e volevo dirlo, ma il vento era aumentato a tal punto che la violenza dell’aria ricacciava in gola ogni suono. Mi limitai a sorridere mentre Fantasma Ghiaccio continuava ad armeggiare con la telecamera.
Fantasma del 2000
Fantasma Ghiaccio armeggiava con la telecamera, sperando di scorgere da lì il berretto dell’ammiraglio. Lo inquadrò, ma non si accorse del sorriso ironico di Nelson che compativa la nostra trasparenza. Fantasma Regalo si guardò intorno, malinconico, godendo della piacevole sensazione del vento che gli attraversava la spina dorsale.
Disse: “Londra non è più una città ai miei occhi. È una parola. E noi siamo quella parola. Sostanze presentificate nell’adesso, nel legame che, ora, c’è”. Un barbone con un cappello grigio si avvicinò a Fantasma Regalo, lo urtò e proseguì oltre come se non l’avesse visto.
Io pensai che davvero, lì, eravamo, e volevo dirlo, ma il vento era aumentato a tal punto che la violenza dell’aria ricacciava in gola ogni suono. Mi limitai a sorridere mentre Fantasma Ghiaccio continuava ad armeggiare con la telecamera.
Fantasma del 2000
POST-IT
“L’ingolfamento,
come esprimerlo
senza prima liberarsene?”
lui si chiese,
ma appunto,
lo chiese solo a se stesso,
aumentando l’intasamento.
NiK
come esprimerlo
senza prima liberarsene?”
lui si chiese,
ma appunto,
lo chiese solo a se stesso,
aumentando l’intasamento.
NiK
domenica 25 febbraio 2007
Nevrosi balistica
Si osservavano le immagini del match Italia-Usa. Specchio della partita, numerosi occhietti vispi, sospiri e smorfie incollate con filo indistruttibile allo schermo.
In un angolo defilato sinistre e buffe figure non capivano nulla di strategie calcistiche e sprecavano energia nell’individuazione della porta azzurra. Avendo arrancato un faticoso successo nella scoperta, si abbandonavano poi ad un progressivo scemare di entusiasmo. Ingannavano l’attesa del risultato con fastidiosi sfotti al prossimo che, ora esultante, ora deluso da un tiro sbagliato, non voleva saperne di prestare loro attenzione. Improvvisamente dalle casse uscirono le suggestive parole che calamitarono il loro interesse: “Il giocatore numero dieci ha importanti capacità balistiche”.
Suonarono loro come sentenza profetica. Il tempo residuo al finir della partita sarebbe trascorso invano sorridendo, sparando monche gratuità sulla magnetica affermazione.
Tirando calci sul proprio tessuto cerebrale i nervi impazzarono e seguendo imprevedibili traiettorie colpirono centri inaspettati. Carpirono segreti assoluti e inarrivabili nella stupida inconsapevolezza delle loro parole. Le buffe sagome non conobbero mai l’intensità dei loro bersagli e rimasero un po’ lì, inebetite, ad osservare l’impazienza altrui, senza difendere la loro balistica nevrotica. Poi la partita finì e il loro straziante vociare si spense.
Suonarono loro come sentenza profetica. Il tempo residuo al finir della partita sarebbe trascorso invano sorridendo, sparando monche gratuità sulla magnetica affermazione.
Tirando calci sul proprio tessuto cerebrale i nervi impazzarono e seguendo imprevedibili traiettorie colpirono centri inaspettati. Carpirono segreti assoluti e inarrivabili nella stupida inconsapevolezza delle loro parole. Le buffe sagome non conobbero mai l’intensità dei loro bersagli e rimasero un po’ lì, inebetite, ad osservare l’impazienza altrui, senza difendere la loro balistica nevrotica. Poi la partita finì e il loro straziante vociare si spense.
Ispirazioni avvolte tra cellophane letterario e rutti escatologici
L’oro ha il pomeriggio in bocca. È pronto a sputarlo, ma lo conserva, in latenza, per sfruttare al meglio il suo potere ricattatorio.
Tra i denti, tartaree letterine scavano fessure incrostate.
Sostano talvolta su terrazzini zuccherosi e grigi. Lì, allentano la tensione incastrando piacevolmente i loro segmenti.
E con F al contrario.
I si infila ed L accoglie consenziente.
M si getta addosso ad U.
S è impegnata in certe cosette con Z e C.
Divina pausa che oblia, per qualche attimo, il pomeriggio ostaggio di cavità orali.
Sulla saliva scivolano le giovani lettere, si divertono incoscienti, ma prigioniere di gialle concretezze galleggiano in stallo sterile tra dibattiti cariati.
Solo silenzio dalla cavità. L’oro non parla, agisce. Letterine fagocitate da residui cioccolatosi sonnecchiano impotenti. Nessun riscatto sarà pagato. La loro facoltà seducente svanisce irrimediabilmente. Il pomeriggio muore sterile com’è cominciato. Con un lobo morsicato ed un alito stordente, per giunta.
Tra i denti, tartaree letterine scavano fessure incrostate.
Sostano talvolta su terrazzini zuccherosi e grigi. Lì, allentano la tensione incastrando piacevolmente i loro segmenti.
E con F al contrario.
I si infila ed L accoglie consenziente.
M si getta addosso ad U.
S è impegnata in certe cosette con Z e C.
Divina pausa che oblia, per qualche attimo, il pomeriggio ostaggio di cavità orali.
Sulla saliva scivolano le giovani lettere, si divertono incoscienti, ma prigioniere di gialle concretezze galleggiano in stallo sterile tra dibattiti cariati.
Solo silenzio dalla cavità. L’oro non parla, agisce. Letterine fagocitate da residui cioccolatosi sonnecchiano impotenti. Nessun riscatto sarà pagato. La loro facoltà seducente svanisce irrimediabilmente. Il pomeriggio muore sterile com’è cominciato. Con un lobo morsicato ed un alito stordente, per giunta.
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